Il Regno Unito ha votato per uscire dall’Unione Europea. Lo scorso 23 giugno gli elettori del Regno Unito e di Gibilterra sono stati chiamati a definire la loro posizione, favorevole o contraria, in merito all’uscita del loro Paese da un’organizzazione internazionale politica ed economica, l’Unione Europea appunto, che tiene uniti 28 Paesi membri. Con il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea i cittadini hanno potuto, quindi, esprimere il loro parere rispondendo alla domanda “Il Regno Unito dovrebbe restare un membro dell’Unione europea o dovrebbe lasciare l’Unione Europea?”. Le due risposte consentite erano “Restare un membro dell’Unione europea” (Remain a member of the European Union) e “Lasciare l’Unione Europea” (Leave the European Union).
Come noto, il referendum si è concluso con un 51,9% che ha votato a favore dell’uscita dalla UE, contro il 48,1% che invece ha votato per restare (risultato ottenuto soprattutto in Scozia e Irlanda del Nord). Il referendum, trattandosi di un atto consultivo e non vincolante, ha richiesto una legge parlamentare per avviare l’applicazione dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea. L’articolo 50 del Trattato di Maastricht prevede, infatti, un meccanismo di recesso volontario e unilaterale di un Paese dall’Unione europea. La richiesta deve ottenere l’approvazione del Parlamento europeo per poi concludersi per opera del Consiglio. L’approvazione, della legge nota come European Union Act 2017, da parte del Parlamento del Regno Unito è avvenuta lo scorso 29 marzo 2017.
L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, conosciuta anche come Brexit (dalla combinazione dei termini British ed exit) ha avuto fin da subito delle conseguenze sul piano politico. David Cameron, premier durante lo svolgimento del referendum, aveva fortemente espresso il suo schieramento nei confronti della permanenza del Paese nell’Unione Europea. In seguito al risultato del referendum, Cameron si è dimesso lasciando il posto all’attuale primo ministro Theresa May.
Quali saranno ora le conseguenze per coloro che hanno la cittadinanza in uno dei Paesi dell’UE e intendono rimanere o trasferirsi a Londra? Bisogna innanzitutto dire che la Brexit sarà ufficialmente applicata a partire dall’aprile del 2019. Prima di tale data, continueranno a essere applicate tutte le norme previste dal sistema comunitario. Gli italiani che già vivono a Londra, pur non essendo ancora obbligati, possono richiedere all’Home Office un documento che attesti la loro condizione di residenti. Nello specifico, possono richiedere questo documento gli italiani (per sé e per la loro famiglia) che vivono a Londra da almeno 5 anni e sono lì per motivi di lavoro o di studio. Il documento definisce lo stato di residente permanente, sulla base della legislazione europea.
Il Regno Unito ha già fatto sapere che intende consentire ai cittadini già residenti a Londra di rimanere anche dopo la Brexit, a patto che i Paesi dell’UE facciano altrettanto con i suoi cittadini. Ciò nonostante, sarà necessario aver ottenuto il documento per dimostrare alla polizia di frontiera lo stato di residente.
Si può richiedere anche la nazionalità inglese, ma in questo caso è necessario aver ottenuto il documento come residente permanente già da almeno un anno.
Vista l’incertezza che ancora accompagna il dopo Brexit, per chi ha intenzione di trasferirsi a Londra o in un altro paese del Regno Unito nel prossimo futuro, la raccomandazione è di farlo prima dell’aprile del 2019, cercando di ottenere nel frattempo il documento di residenza permanente (documento che si può richiedere anche dopo 2 anni, ma solo se si hanno i requisiti previsti dalla legge).
Per chi, infine, intendesse visitare il Regno Unito per turismo ed è residente in uno dei Paesi dell’UE potrà ancora farlo con il solo documento di identità sempre fino all’aprile del 2019. Quando la Brexit sarà ufficialmente e legalmente realtà, anche i cittadini dell’UE dovranno viaggiare minuti di passaporto.